PATOLOGIE – PAZIENTE EMIPLEGICO – LA MOBILIZZAZIONE

PAZIENTE EMIPLEGICO – LA MOBILIZZAZIONE

Le Lesioni da decubito

“Per ulcera o lesione da decubito (LDD) si intende una lesione tissutale ad evoluzione necrotica che interessa la cute, il derma e gli strati sottocutanei, fino a raggiungere, nei casi più gravi, il muscolo, la cartilagine e l’osso. Il fenomeno è causato da una prolungata e/o eccessiva pressione esercitata tra piano d’appoggio e superficie ossea, tale da provocare uno stress meccanico sui tessuti ed un’alterazione della circolazione ematica locale”.

Clinicamente le lesioni si osservano in sedi particolarmente predisposte, come le prominenze ossee, ed insorgono in seguito al decubito prolungato in posizione obbligata. Sono favorite da fenomeni generali e locali.

I pazienti immobilizzati per compromissione della funzionalità neuromotoria e gli anziani allettati rappresentano le categorie più esposte. I pazienti immobilizzati per compromissione della funzionalità neuromotoria e gli anziani allettati rappresentano le categorie più esposte.

Questi ultimi anche a causa dell’invecchiamento dei tessuti che risultano ipotrofici, meno elastici e caratterizzati da maggior fragilità capillare.

La presenza di malattie sistemiche concomitanti come il diabete mellito, l’insufficienza renale, l’immunodepressione, i disturbi circolatori, ecc. costituisce un’ulteriore aggravante.

Fattori di Rischio

I fattori di rischio che concorrono nella formazione di una lesione da decubito vengono comunemente suddivisi in tre tipologie: Fattori Locali – Fattori Generali – Fattori Ambientali.

Fattori Locali:

Pressione: Forza esercitata perpendicolarmente sui tessuti compressi tra le prominenze ossee ed il piano di appoggio del corpo (materasso, sedia, apparecchio gessato, ecc.). In condizioni normali, una persona giovane distesa a letto esercita sui punti d’appoggio una pressione che varia dai 120 ai 180 mm Hg. L’acidosi lattica su base ischemica che si determina, per il protrarsi di compressioni locali, stimola le terminazioni nervose provocando, anche nel sonno, un’automatica modifica delle posture assunte che, mediamente, avviene ogni 11 minuti con conseguente decompressione dei punti di appoggio. L’età e la comparsa di patologie che comportano un’alterazione dello stato di coscienza o di ridotta sensibilità locale determinano il deterioramento di tale meccanismo.

Forza di stiramento: Forza esercitata parallelamente al piano di appoggio, determinata dallo slittamento dei segmenti corporei da una posizione ad un’altra se non sorretti adeguatamente. Si produce così una trazione dei tessuti molli superficiali ancorati dalle fasce muscolari profonde, con effetto di stiramento, possibile angolazione, microtrombosi, ostruzione e recisione dei piccoli vasi, ipossia e conseguente necrosi tissutale profonda.

Attrito/frizione/sfregamento: Forza esercitata tra due superfici a contatto che si muovono l’una contro l’altra (lenzuolo o biancheria e superficie corporea): asportando gli strati superficiali, rende l’epidermide più suscettibile agli eventi lesivi. I fenomeni attrito e stiramento si verificano anche quando la persona, in modo autonomo, scivola sul letto o sulla sedia, o quando si sposta sul letto spingendosi con gomiti e talloni.

Macerazione: Fenomeno provocato dalla permanenza di liquidi biologici sulla cute che generalmente si verifica a seguito dell’incontinenza urinaria e/o fecale, ma può essere favorito anche da sudorazione profusa. Rappresenta una delle cause più frequenti di danneggiamento della cute stessa aumentando di circa sei volte il rischio di comparsa di lesioni , in quanto tali sostanze risultano molto aggressive, ed inoltre modificano il pH cutaneo rendendo la cute vulnerabile agli insulti meccanici, fisici e biologici.

Fattori Generali

Età avanzata: L’invecchiamento determina modificazioni delle caratteristiche cutanee quali:

Diminuzione della produzione di sebo e sudore con facilità alla secchezza;

Diminuzione dell’elasticità cutanea;

Diminuzione del pannicolo sottocutaneo;

Diminuzione della massa muscolare;

Diminuzione della percezione sensoriale e dei riflessi nocicettivi;

Cambiamenti cardiovascolari che causano una riduzione della perfusione tissutale e la diminuzione della risposta immunitaria.

Riduzione della mobilità: La riduzione e/o l’assenza di mobilità può essere determinata da:

Cause neurologiche sensoriali e motorie: assenza della sensibilità al dolore, alla pressione, paresi con associata atrofia muscolare e riduzione del pannicolo sottocutaneo;

Cause non neurologiche: sedazione, presenza di apparecchi gessati, interventi chirurgici, malattie neoplastiche.

Alterazioni distrettuali del circolo: Qualsiasi situazione che riduca la circolazione ed il nutrimento della cute e del tessuto sottocutaneo (es. arteriopatie, alterazione della perfusione tissutale), fa aumentare il rischio di LDD. Le persone affette da diabete mellito o con presenza di edemi, sono soggette ad un’alterazione del microcircolo ed uno scarso nutrimento della cute.

Disturbi della nutrizione: Tra i disturbi della nutrizione si citano: malnutrizione, iponutrizione, squilibri del bilancio proteico, disidratazione, obesità, squilibri vitaminici e di sali minerali. L’ipoalbuminemia e la conseguente riduzione della pressione oncotica, favorisce l’edema interstiziale che aumenta la distanza delle cellulare dai capillari; Ciò riduce per tanto il livello di diffusione di Ossigeno a livello cellulare. Questo fattore associato alla pressione che genera ischemia, è in grado di favorire la comparsa di necrosi.

Stati infettivi: Le turbe del sistema immunitario si ripercuotono sulla funzionalità cutanea, alterandone le caratteristiche e riducendone la capacità riparativa. L’ipertermia spesso associata, determina un incremento delle richieste metaboliche pari al 10% per ogni grado°C di aumento della temperatura corporea.

Cause iatrogene: L’utilizzo di sedativi, ipnotici, miorilassanti, citotossici, l’uso non corretto di materiali sanitari (soluzioni sgrassanti o irritanti), le frizioni ed i massaggi in zone compromesse, favoriscono l’insorgenza di LDD. Patologie aggravanti: Diabete, anemia, obesità, insufficienza cardio-respiratoria e insufficienza renale, cachessia.

Fattori Ambientali

Tasso di umidità inferiore al 40%

Temperatura inferiore ai 18°C che provoca ipotermia circolatoria tissutale

Surriscaldamento ambientale che può portare a sudorazione profusa e conseguente disidratazione

Irradiazione, che avviene per emissione di radiazioni dannose per la cute da fonte luminosa.

Tutti questi fattori possono esporre la cute a disidratazione e conseguente riduzione di elasticità ed integrità, predisponendola al rischio di insorgenza di LDD.

Fattori di rischio: Intrinseci e Estrinseci

Numerosi sono i fattori di rischio implicati nell’insorgenza delle lesioni da decubito. Questi si possono suddividere in fattori intrinseci (legati al paziente) e fattori estrinseci (legati all’ambiente).

Fattori intrinseci:

Malnutrizione: Diminuzione del peso corporeo superiore al 15%

Ipoproteinemia: Maggiore vulnerabilità all’ischemia

Anemia: Ipossigenazione

Età avanzata: Modificazioni della cute, diminuite difese e ritardata riparazione

Incontinenza: Macerazione

Febbre: Aumentata richiesta d’ossigeno

Immobilità, fratture: Aumentata esposizione alla compressione

Perdita di sensibilità: Compromissione del meccanismo riflesso del cambio di postura

Ipoperfusione: Ischemia

Malattie cardiovascolari e respiratorie: Alterata circolazione ematica e quindi ipossia tissutale

Obesità: Carico eccessivo

Magrezza: Riduzione dei tessuti che fanno da “cuscinetto” tra la cute e le prominenze ossee

Infezioni sistemiche: Ascessi muscolari e cutanei Diabete mellito; Angiopatia

Ipoglicemia: Diminuita sintesi di collagene

Disidratazione: Ipoperfusione

Immunodepressione : Riduzione delle difese

Fumo: Fibrosi del derma

Malattie psichiche: Ipomobilità

Fattori estrinseci:

Stress meccanico (ad es. frizione quando il paziente viene mobilizzato)

Inadeguata rimozione della compressione nel paziente allettato

Interventi chirurgici senza rimozione della compressione per oltre 2.5 ore Riduzione della temperatura della sede di compressione (cellule ed enzimi sono maggiormente attivi a temperatura corporea)

Essiccazione della medicazione (la guarigione è facilitata in ambiente umido)

Utilizzo di steroidi che abbassano le difese dell’organismo e riducono i processi riparativi

Alto turnover e carenze nei flussi informativi tra operatori sanitari

La Stadiazione

Indicativamente, in qualsiasi zona del corpo a contatto con una superficie d’appoggio si possono manifestare lesioni da decubito. Ogni postura del paziente ha, comunque, caratteristicamente delle aree sottoposte a maggior pressione e quindi a più rischio di decubito.

Decubito Supino: Talloni – Polpacci – Sacro – Gomiti – Vertebre – Scapole – Nuca

Decubito Laterale: Malleolo – Spalla – Trocantere – Orecchio

Decubito Prono: Dorso del piede – Ginocchia – Guance – Orecchie

Decubito seduto: Talloni – Pianta del piede – Cavo popliteo – Osso ischiatico – Sacro – Coccige

Le lesioni da decubito compaiono più frequentemente sulla parte bassa del corpo: Sacro: 36-43% – Trocantere: 12-17% – Tallone: 11-12% – Tuberosità Ischiatiche: 5-15 % – Malleoli Laterali: 6-7%

La Classificazione

Ulcera di pressione del grado 1°: Iperemia di pelle intatta che non scompare (non reversibile alla digitopressione) dopo scarico della pressione. La discromia della pelle, del calore, dell’edema, dell’indurimento o della durezza possono essere indicati come indicatori, specialmente sugli individui con pelle più scura. Non si parla di eritema della pelle poiche è già considerata di per sè una patologia, ma di iperemia cutanea.

Ulcera di pressione del grado 2°: (Bolla) perdita parziale della pelle, a spessore parziale, che coinvolge, epidermide, derma o entrambi. L’ulcera è superficiale e si presenta clinicamente come un’abrasione o bolla o un “cratere” superficiale.

Ulcera di pressione del grado 3°: (Ulcera superficiale) perdita completa della pelle, a tutto spessore, con degenerazione o necrosi del tessuto sottocutaneo e con possibile estensione fino alla fascia muscolare, ma non oltre.

Ulcera di pressione del grado 4°: (Ulcera profonda) Vasta distruzione, necrosi del tessuto, o danneggiamento del muscolo, dell’osso, o delle strutture portanti con o senza lesione cutanea a tutto spessore.

Le Scale di Valutazione

Le scale di valutazione sono strumenti che consentono di identificare in modo oggettivo l’indice di rischio di sviluppare LDD permettendo l’analisi delle problematiche in modo unitario e standardizzato omogeneizzando la lettura del fenomeno e la pianificazione degli interventi assistenziali preventivi.

E’ raccomandato l’uso di uno strumento strutturato che sia stato testato in termini di validità e affidabilità, come l’indice di Braden (Braden Scale for Predicting Pressure Sore Risk), l’indice di Norton (Norton Pressure Sore Risk Assessment Scale) e l’indice di Waterlow (Waterlow Pressure Ulcer Risk Assessment Tool).

L’utilizzo delle Scale integra ma non sostituisce il giudizio clinico dei professionisti. La valutazione del rischio deve essere effettuata ad intervalli regolari: i documenti di riferimento suggeriscono di fare una prima valutazione al momento della presa in carico del soggetto e di ripeterla periodicamente in rapporto al cambiamento delle condizioni cliniche.

La Prevenzione

E’ un dato certo che la prevenzione sia determinante per ridurre l’insorgenza delle lesioni da decubito o, a lesione già instaurata, per limitarne al minimo la progressione. Il presupposto per una efficace prevenzione, nonché trattamento, è l’approccio multidisciplinare alla patologia che veda impegnate più figure professionali, quali medico, nutrizionista, dietista, fisioterapista, infermiere professionale, operatore socio assistenziale, in grado di affrontare il problema da un punto di vista clinico, farmacologico ed assistenziale.

La prevenzione, finalizzata a modificare i fattori che concorrono all’insorgenza e allo sviluppo delle lesioni consiste nella:

Identificazione dei soggetti a rischio

Applicazione protocollo di prevenzione

Identificazione dei soggetti a rischio

La misurazione del rischio dei pazienti di sviluppare lesioni da decubito è il primo pas- so da compiere per una corretta pianificazione degli interventi di prevenzione. Tale misurazione deve essere effettuata, impiegando strumenti di verifica validati quali “scale di valutazione”.

Queste devono essere somministrate ai pazienti in ingresso alla struttura e devono essere ripetute, durante la degenza, con cadenza stabilita in base al fattore di rischio iniziale (settimanale, quindicinale, ecc.). La rivalutazione del paziente deve essere realizzata, in particolare, ad ogni cambiamento delle condizioni esistenti (riammissione dopo ricovero ospedaliero, allettamento protratto) e nei casi in cui intervengano modifiche dei parametri oggetto di valutazione, anche se relative ad un singolo dato (comparsa di incontinenza, modifica delle stato di coscienza, ecc.).

Non è tanto importante il tipo di scala impiegata quanto la sua applicazione sistematica. Il valore di rischio è riportato nella cartella clinica del paziente allo scopo di definire il piano di intervento.

Applicazione del protocollo di prevenzione

Gli interventi di prevenzione sono i seguenti:

1 – Norme igieniche

2 – Nutrizione

3 – Mobilizzazione e posizionamento

4 – Riduzione della compressione

È oltremodo importante educare il paziente circa le misure preventive da adottare, affinchè egli stesso, ove possibile, collabori con gli operatori sanitari. Questi ultimi dal canto loro devono provvedere al passaggio delle informazioni.

1 – Norme igieniche

Osservare quotidianamente le condizioni della cute del paziente, in particolare le zone a rischio

Mantenere la cute pulita con l’utilizzo di detergenti debolmente acidi non irritanti, in particolare dopo ogni evacuazione

Asciugare per tamponamento

In presenza di cute secca l’applicazione di olii prottettivi o creme idratanti ed emollienti può contribuire a ripristinare il mantello idrolipidico e a mantenere elastica la cute; l’utilizzo di paste a base di ossido di zinco può rivelarsi utile esclusivamente se vi è rischio di macerazione come nei casi di incontinenza

Ricorrere, per le persone incontinenti, all’uso di ausili ad assorbenza, seguendo uno schema di impiego personalizzato, anche sulla base delle modalità di utilizzo.

Da evitare: Uso di detergenti sgrassanti o soluzioni alcoliche

Applicazioni di talco o di polveri protettive

Strofinamento nell’asciugatura (rischio di frizione)

Massaggi profondi (scollamento dei tessuti)

Scorretto impiego dei pannoloni rispetto alle indicazioni di utilizzo

Contatto della pelle con materiali impermeabili, come tele cerate Impiego di biancheria intima sintetica

Impiego di indumenti con elastici o bottoni

Lenzuola o indumenti umidi o bagnati

Pieghe delle lenzuola o della biancheria o presenza di corpi estranei (briciole ecc.).

2 – Nutrizione

Valutare lo stato nutrizionale: Verificare che non sia in atto uno stato di malnutrizione (per eccesso o per difetto) tramite il monitoraggio dei seguenti parametri:

Il peso corporeo ed il suo andamento negli ultimi 6 mesi: Calcolo del peso desiderabile e Calcolo del BMI = Indice di massa corporea

L’appetito: Controllare la corretta assunzione quantitativa e qualitativa degli alimenti tenendo conto che nell’anziano vi è una diminuzione sia del senso del gusto che dell’olfatto, sia della capacità di masticare e digerire; assicurare quindi l’assistenza ed il comfort necessario alla consumazione del pasto;

Lo stato di idratazione: Stimolare e aiutare la persona a bere; eccezionalmente, se il medico lo ritiene opportuno, ricorrere alla reidratazione per via parenterale;

La situazione proteico-vitaminica: Controllare lo stato delle mucose, della pelle, dei capelli, delle unghie;

Esami di laboratorio: Particolare attenzione va rivolta al bilancio azotato e ai valori di albuminemia;

Eventuale patologia di base: Possibile concausa dell’alterato stato di nutrizione: diabete, malattie apparato digerente, malassorbimento, parassitosi, anemia, epatopatia, malattie cardiovascolari, neoplasie, demenza, comatosi.

Adeguare il Fabbisogno Proteico

Le proteine sono nutrienti di estrema importanza nel processo di cicatrizzazione, rivascolarizzazione e rigenerazione dei tessuti.

Il fabbisogno fisiologico di proteine nell’anziano è di 0,8- 1 gr/Kg di peso corporeo ideale. In caso di lesioni da decubito l’apporto di proteine deve aumentare fino a 1,5 gr/Kg di peso corporeo ideale.

E’ quindi fondamentale che la persona introduca ogni giorno la corretta porzione di alimenti ricchi in proteine sia di tipo animale (carne, pesce, uova, latte e latticini ) che vegetale (pasta/riso, pane, ed altri cereali, legumi).

Ovviamente, a seconda dei problemi presentati dal paziente, si tratterà di garantire questo apporto proteico adottando le più opportune forme di somministrazione degli alimenti (omogenizzati, frullati macinati, etc.).

Adeguare il Fabbisogno di Specifici Nutrienti

In particolare il fabbisogno di vitamine (A, C, E) che stimolano la sintesi del collagene.

E’ importante anche il corretto apporto di alcuni sali minerali (Selenio, Zinco, Manganese, Rame) per la loro azione nel processo di riepitelizzazione.

Questi nutrienti sono contenuti nella gran parte dei prodotti vegetali: frutta, verdura ed ortaggi.

Anche in questo caso è di primaria importanza garantire un apporto costante di questi nutrienti, nella considerazione e nel rispetto delle eventuali sottostanti/copresenti patologie.

Si presterà quindi attenzione affinchè la persona consumi ogni giorno 2-3 frutti (freschi, cotti, in forma di succo, frullato o centrifuga) ed accompagni ogni pasto con una adeguata porzione di verdura (anche questa cruda o cotta o in forma di frullato o centrifuga).

Adeguare il Fabbisogno Energetico

Il fabbisogno energetico dell’anziano si aggira fra le 25-30 Kcal/Kg di peso corporeo ideale.

Per l’uomo il fabbisogno è di circa 1800 Kcal/die.

Per la donna il fabbisogno è di circa 1500 Kcal/die.

In caso di lesioni da decubito tale fabbisogno aumenta di circa 200-600 kcal/die per la grande richiesta di energia che abbisogna il processo di cicatrizzazione e maturazione del nuovo tessuto.

Ricorrere all’Integrazione Nutrizionale (ove necessario)

Nutrizione Artificiale (enterale o parenterale): Esistono in commercio diversi tipi di integratori ad uso orale, particolarmente adatti sono quelli iperproteici che garantiscono la copertura dell’aumentato fabbisogno di proteine.

3 – Mobilizzazione e posizionamento

Mobilizzare in modo regolare e costante il paziente, in quanto la mobilizzazione rappresenta la prima forma di difesa dell’organismo contro la compressione.

Nei pazienti che hanno conservato la capacità di deambulare, occorre stimolare il più possibile il movimento, accompagnando la persona o fornendole gli ausili necessari (bastone, tripode, girello, corrimano) per dare sicurezza e autonomia.

A coloro che hanno perso la capacità di deambulare, garantire, ove possibile, la mobilizzazione sistemandoli in poltrona o in carrozzina.

Nei pazienti totalmente allettati privi di movimenti volontari o automatici assicurare una mobilizzazione passiva seguendo, a seconda del livello di rischio di insorgenza di lesioni, lo schema di posizionamento indicato di seguito.

Paziente in poltrona e in carrozzina:

Individuare la seduta corretta: schiena ben appoggiata ed adesa allo schienale con uno spazio laterale e sottostante le ginocchia di 2 cm al massimo;

Sollevare il paziente o incentivare il cambio di posizione autonomo (autosollevamento) per alcuni secondi, ogni 15-20 minuti

La carrozzina deve essere possibilmente personalizzata alle esigenze del paziente

Da evitare:

Lo scivolamento, assicurandosi dell’appoggio dei piedi; è possibile l’utilizzo di telini antiscivolo.

Paziente totalmente allettato:

La postura indicata per il paziente allettato, oltre a ridurre i punti di pressione, deve essere confortevole e garantire un corretto allineamento delle articolazioni, per evitare contratture, anchilosi e, quindi, dolore.

Durante le operazioni seguire le regole seguenti:

Nei cambi di postura ricercare la collaborazione del paziente; oltre ad agevolare l’operatore, ciò rappresenta un forte stimolo al mantenimento delle capacità di movimento per il paziente stesso

Cambiare la postura ogni 2 ore alternando le posizioni

Ad ogni cambio di postura sorvegliare la cute delle zone a rischio, sopra le sporgenze ossee, per riconoscere precocemente le zone di arrossamento

Posizione Supina:

Allineamento: Gli arti superiori possono essere allineati lungo i fianchi o leggermente abdotti e flessi in avanti, appoggiati su un cuscino, mano aperta. Gli arti inferiori divaricati, anche e ginocchia estese, piedi ad angolo retto. Per aumentare il comfort può essere utilizzato l’archetto solleva coperte.

Se il paziente è ad alto rischio possono essere posizionati cuscini sotto gli arti inferiori, per sollevare i talloni.

Gli arti inferiori possono essere messi in leggera flessione solo per brevi periodi, in quanto tale posizione, peraltro comoda, causa retrazioni tendinee e blocchi articolari. Se si vuole mantenere il paziente in posizione semiseduta, il sollevamento della testiera del letto non deve superare i 30°, al fine di evitare forze aggiuntive di taglio nei tessuti profondi causate dallo scivolamento verso il basso; se la testiera viene sollevata oltre i 30° dovranno essere sollevati anche gli arti inferiori, per contrastare lo scivolamento.

Quando si mobilizza un paziente dalla posizione supina, si devono ispezionare i talloni e la zona sacro/glutea. Nei soggetti totalmente immobili si dovranno ispezionare anche le altre zone di appoggio, cioè le scapole, i gomiti e l’occipite.

Posizione Obliqua destra e sinistra

La posizione sul fianco a 90° deve essere evitata, per l’alto rischio di lesione nella zona trocanterica. Sono da preferire le posizioni obliqua a 30° anteriore e posteriore.

Allineamento: La spalla e la scapola sottostante vanno appoggiate al letto, per poter meglio posizionare il braccio sul piano del letto, sia esteso che a gomito flesso.

Il braccio che rimane sopra deve essere appoggiato su un cuscino, in modo che la spalla sia leggermente aperta.

La schiena va appoggiata su un cuscino ripiegato.

La gamba che rimane sul piano del letto va posta lievemente in estensione indietro, per migliorare la stabilità del paziente, il ginocchio lievemente flesso, il piede ad angolo retto. L’altra gamba, che rimane sopra, va appoggiata su un cuscino, flessa all’anca e al ginocchio, piede ad angolo retto.

Quando il paziente viene spostato da questa posizione si devono ispezionare la zona del trocantere e quella del malleolo; nei pazienti ad alto rischio anche la zona dell’orecchio.

Posizione Prona

Ove possibile insistere affinché le persone mantengano questa posizione, anche se per breve tempo, in quanto assicura un completo scarico della zona sacrale e dei calcagni e contrasta la rigidità in flessione delle anche e delle ginocchia.

Allineamento: Il capo va ruotato dolcemente su un lato.

Gli arti superiori possono essere allineati entrambi lungo i fianchi, oppure uno dei due può essere flesso verso l’alto.

Sotto il paziente devono essere posizionati cuscini che permettano di ottenere uno spazio per i genitali maschili, o per le mammelle: i cuscini saranno lievemente distanziati, anche alle ginocchia, per permettere lo scarico delle rotule.

I piedi devono essere posizionati oltre il bordo del materasso a 90°.

Si ricorda che i cambi di posizione vanno effettuati secondo le metodiche della Buona Tecnica, per il risparmio del rachide dell’operatore (D.L. 626/94).

Da evitare (sempre):

Appoggio del corpo sui decubiti

Stiramento degli arti verso il basso

Eccessiva tensione del lenzuolo superiore, che provoca compressione sulle prominenze ossee

4 – Riduzione della compressione

Ridurre la compressione con dispositivi e ausili antidecubito.

Questi permettono di tollerare meglio l’immobilità tra un cambio di postura e l’altro, ma non possono ridurre la frequenza, o essere sostitutivi, degli interventi di mobilizzazione sopra ricordati.

Devono essere considerati all’interno di un piano complessivo di assistenza al paziente.

I dispositivi di supporto devono possedere almeno le seguenti caratteristiche:

Essere permeabili all’aria e al vapore, cioè non devono trattenere l’umidità

Ridurre l’accumulo di calore (un aumento della temperatura di 5° aumenta il rischio di lesione)

Ridurre la frizione

Ridurre la compressione

Assicurare una superficie morbida

Materassi e analoghi di maggior impiego e loro caratteristiche

Cuscini: acqua, aria, gel, gommapiuma, fibra

Vantaggi: mantengono un corretto allineamento del paziente a letto

Svantaggi: riducono di poco la pressione di contatto

Sovramaterassi e Materassi ad aria: a pressione alternata o continua

Vantaggi: riducono la pressione di contatto – facile gestione – economici

Svantaggi: non consentono un aumento dell’intervallo tra una mobilizzazione e l’altra, nei pazienti ad alto rischio

Materassi ad Acqua

Vantaggi: riducono la pressione di contatto

Svantaggi: peso elevato – marcato ingombro – possono causare mal di mare

Materassi a Cubi

Vantaggi: riducono la pressione di contatto

Svantaggi: per essere efficaci devono essere utilizzati senza lenzuola

Letti a cessione d’Aria

Vantaggi: mantengono la pressione al di sotto della pressione di occlusione capillare (escluso i talloni)

Svantaggi: marcato ingombro – costo elevato

Letti Fluidizzati

Vantaggi: favoriscono il galleggiamento del paziente

Svantaggi: peso elevato – marcato ingombro – costo elevato

Velli naturali o sintetici

Vantaggi: riducono l’incidenza delle sole lesioni superficiali causate dalla frizione

Svantaggi: necessitano di una scrupolosa igiene – possono aumentare la temperatura della cute nella zona di contatto

Altri ausili Archetto

Alza Coperte

Vantaggi: evita il peso delle coperte sul piede favorisce l’areazione riducendo calore ed umidità

Svantaggi: necessità di mantenere il corretto posizionamento del paziente con cuscini

Asta con trapezio

Vantaggi: facilita i cambi posturali

Svantaggi: nell’autosollevamento rischio di frizione o stiramento della cute

Talloniere Gomitiere

Vantaggi: alleviano la compressione delle zone maggiormente esposte a pressione o sfregamento

Svantaggi: riduzione solo parziale della compressione – aumento T° locale

Cavigliere ad Anello

Vantaggi: mantengono il piede sollevato dal piano del letto in qualsiasi posizione

Svantaggi: necessità di mantenere il corretto posizionamento del paziente con cuscini – causano iperestensione del ginocchio

Posizionatore del Piede

Vantaggi: mantiene il piede sollevato dal piano del letto

Svantaggi: utilizzabile solo per posizioni supine – insufficiente in presenza di spasticità

DA EVITARE: tutte le ciambelle in quanto è dimostrato che determinano compressione sul piano di appoggio, creando edema e congestione della zona centrale ed ostacolando la circolazione nella zona del decubito.

Trattamento della Lesione

La riparazione è un fenomeno vitale. Si verifica attraverso la formazione di tessuto connettivo che viene ricoperto per moltiplicazione delle cellule epiteliali e migrazione delle stesse dai bordi della lesione verso il centro della stessa.

E’ condizionata da fattori sia di tipo locale (apporto di sangue, presenza di ossigeno, presenza di batteri o di danno tissutale, tipo di medicazione), che di tipo sistemico (malnutrizione, diabete, deficit vitaminici, uso di farmaci, ipossia, ipovolemia, ecc.).

Non esiste una metodica ottimale per il trattamento delle lesioni da decubito, che può quindi variare in base alle condizioni del paziente, al tipo di lesione ed alla sua evoluzione.

Il principio basilare è quello di favorire la guarigione rispettando l’ambiente naturale nel quale avvengono i processi di riparazione tissutale, quali la granulazione e la riepitelizzazione, ed evitare le condizioni che la rallentano come le variazione di umidità, pH e temperatura.

Nella scelta del trattamento più idoneo devono essere quindi tenuti in considerazione alcuni principi generali che riguardano tali processi; in particolare:

Ossigeno: è dimostrato che la velocità di guarigione delle ferite è direttamente proporzionale alla tensione locale di ossigeno; infatti, le cellule epiteliali necessitano di ossigeno per muoversi e riprodursi. La lesione va tenuta pertanto pulita dalla presenza di fibrina, tessuto necrotico o di escare che sottraggono l’ossigeno necessario.

Umidità: il concetto di guarigione in ambiente umido è un’acquisizione relativamente recente delle ricerche sulla riparazione delle ferite. Le cellule epiteliali migrano solo su tessuti viventi. La formazione di escare ne ritarda la progressione, perché le cellule epiteliali devono migrare sotto di esse. La disidratazione favorisce la formazione di cicatrici e distrugge l’epidermide perilesionale, che serve per la formazione di nuove cellule. In ambiente umido la proliferazione cellulare sembra iniziare dopo 6 ore contro le 18 ore richieste in ambiente secco.

Temperatura: ha una grande influenza sulla rigenerazione cellulare. La temperatura ottimale è di 37° C. Una diminuzione anche di soli due gradi è sufficiente ad inibire la mobilità dei leucociti. Dopo una medicazione, occorrono circa 40 minuti alla lesione detersa per riprendere la temperatura normale e 3 ore per riprendere l’attività mitotica. Sono pertanto da preferirsi le medicazioni che non richiedono cambi frequenti e l’utilizzo di soluzioni a temperatura ambiente per la detersione.

Riparazione cellulare: nelle fasi iniziali della guarigione le cellule epiteliali che migrano attraverso la superficie della lesione hanno scarsa adesione al derma sottostante, per cui possono essere facilmente rimosse. Pertanto, nell’ambito delle operazioni di medicazione, sono da evitare i movimenti dei margini della lesione ed i cambiamenti di medicazione troppo frequenti, poichè possono ostacolare la guarigione.

Equilibrio acido-base: tutte le condizioni che modificano il pH locale provocano modificazioni del processo riparativo.

Interventi sulla lesione:

1 – Rimozione del tessuto non vitale

2 – Disinfezione

3 – Diagnosi e trattamento delle infezioni

4 – Medicazione topica della lesione

5 – Trattamento della cute circostante

6 – Frequenza della medicazione

1 – Rimozione del tessuto non vitale

La detersione della lesione è il presupposto del trattamento delle lesioni da decubito in quanto l’asportazione del materiale infiammatorio e/o dei residui di precedenti medicazioni riduce la colonizzazione batterica, abbassa il rischio di infezione e velocizza i processi di rigenerazione tissutale e quindi la guarigione. E’ inoltre una pratica indispensabile per la valutazione del fondo della lesione e quindi per l’applicazione del protocollo di intervento più appropriato.

La scelta del tipo di detersione dipende dai seguenti fattori:

1) fase della lesione

2) meccanismo d’azione

3) facilità d’esecuzione

4) tollerabilità del paziente

5) costo

Il metodo utilizzato può essere selettivo, ossia con preservazione dei tessuti sani, da preferire, o non selettivo.
Si riassumono di seguito le principali metodiche esistenti.

Metodo idroterapico

Consiste nell’irrigazione della lesione con soluzioni di Ringer Lattato o Soluzione fisiologica, a temperatura ambiente e con una pressione adeguata, che si ottiene utilizzando una siringa da 50 ml ago 19 G.. Tale modalità permette di esercitare un’azione meccanica senza danneggiare il tessuto di granulazione; una maggior pressione rischierebbe infatti di far penetrare i batteri ed il liquido di irrigazione nel tessuto, mentre una pressione inferiore non sarebbe in grado di rimuoverne la presenza.

Il Ringer Lattato è da preferirsi in quanto, contenendo sali di potassio, sembrerebbe migliorare il trofismo cutaneo.
Tale operazione deve essere effettuata ad ogni cambio di medicazione, prima e dopo l’eventuale applicazione di antisettici, enzimi proteolitici e antibiotici, nonchè precedere e seguire gli interventi di rimozione dei tessuti non vitali.

Metodo enzimatico

E’ un metodo selettivo che consiste nell’applicazione di preparati topici contenenti enzimi proteolitici che hanno il compito di digerire la fibrina e rimuovere il tessuto necrotico preservando i tessuti sani.
Il metodo trova indicazione nelle lesioni con abbondanti detriti necrotici o dopo la toilette chirurgica, come proseguimento della terapia.

L’enzima va applicato, in strato sottile, direttamente sul tessuto necrotico che deve essere umido al momento dell’applicazione. Per lo scopo può essere impiegata Soluzione fisiologica.
Sulla lesione va quindi applicata una medicazione secondaria di copertura. E’ importante che l’enzima non venga a contatto con la cute sana circostante la lesione, che va quindi adeguatamente protetta con pomate barriera quali ad esempio la pasta all’ossido di zinco.

Metodo autolitico

E’ un metodo selettivo che consiste nell’applicazione di una medicazione sintetica sulla lesione, allo scopo di favorire l’autodigestione del tessuto necrotico ad opera degli enzimi presenti nei liquidi della lesione.
Si utilizzano in modo particolare idrogeli, da applicare direttamente sulla ferita, o idrocolloidi (in tal caso può essere utile riscaldarli preventivamente fra le mani).

Tali dispositivi devono avere un diametro di circa un cm superiore al diametro della lesione.
Il metodo è indicato nelle ulcere con essudato lieve-moderato.

Metodo chirurgico

La toilette chirurgica è un metodo selettivo ed è il più efficace e veloce per rimuovere grandi quantità di tessuto necrotico o escare secche.
E’ il metodo di scelta quando è presente un’infezione.
Fanno eccezione le escare dei talloni che vanno tenute controllate e possono rimanere in sede qualora rimangano ben secche e non compaia edema, eritema o segni d’infezione. In tale caso si deve comunque procedere a toilette chirurgica.

La rimozione chirurgica deve essere eseguita con delicatezza per non traumatizzare il fondo dell’ulcera in modo particolare nel caso di soggetti con problemi circolatori.
La metodica da eseguirsi con l’utilizzo di pinze, forbici, bisturi o curette, può essere molto dolorosa e va quindi preceduta da un’idonea terapia antalgica o anestesia locale. In caso di sanguinamento può essere utilizzata una medicazione asciutta per le prime 8-10 ore ed in seguito la consueta medicazione umida.

Entrambi i metodi, quello enzimatico e quello autolitico, sono meno veloci del metodo chirurgico, ma non sono dolorosi.

L’eventuale asportazione del tessuto necrotico residuo può essere completata con una pinza anatomica ed una forbice a punte smusse.

2 – Disinfezione

Sulla cute integra è normalmente presente la flora batterica denominata “flora residente” che comprende aerobi ed anaerobi ed è quasi esclusivamente costituita da Gram positivi (cocchi e bacilli).
L’insorgenza di una lesione da decubito modifica radicalmente le condizioni locali, compresa la stessa flora batterica che può variare in base a diversi fattori tra cui la sede della lesione; inizialmente essa è rappresentata in maggioranza da batteri Gram negativi, mentre nella fase rigenerativa dell’epidermide nuovamente da Gram positivi. La colonizzazione batterica della lesione da decubito è quindi un evento estremamente frequente, che non compromette tuttavia la riparazione tissutale.

L’impiego di antisettici è controverso poiché essi, abbinando all’azione antibatterica un effetto lesivo nei confronti di qualsiasi cellula, anche sana, possono danneggiare le cellule deputate alla riproduzione tissutale. Possono inoltre causare reazioni allergiche e/o irritazione locale.

L’uso di antisettici non deve essere quindi routinario ma riservato eventualmente alle lesioni chiaramente infette o in presenza di secrezioni necrotiche (stadio III e IV) e nelle fasi post-escarectomia.
E’ opportuno precedere e seguire l’applicazione con un lavaggio con Soluzione fisiologica o Ringer lattato.

La scelta dell’antisettico deve orientarsi verso quelli meno dannosi. E’ quindi preferibile l’uso della clorexidina gluconato in soluzione acquosa allo 0,05% per la sua buona attività antisettica, la buona tollerabilità e perché sembra interferire minimamente con i processi di guarigione.

Deve essere sempre evitato l’uso simultaneo o consecutivo di un antisettico e di un sapone per il rischio di inattivazione.

3 – Diagnosi e trattamento dell’infezione

La diagnosi di infezione, generalmente, può essere formulata su base clinica (odore, caratteristica dell’essudato; ad esempio una lesione maleodorante è molto probabilmente infettata da anaerobi). Data la colonizzazione batterica, il tampone non è utile a fini diagnostici. Se necessario risulta più opportuno eseguire una coltura del prelievo bioptico del fondo della lesione, o dell’essudato ottenuto tramite aspirazione. L’utilizzo degli antibiotici nel trattamento delle lesioni da decubito è stato oggetto di recenti revisioni. La colonizzazione batterica, come premesso, non incide sulla guarigione della lesione e spesso una corretta detersione o un appropriato impiego di disinfettanti rappresentano gli interventi sufficienti per il trattamento di ulcere, comprese quelle infette. Gli antibiotici topici sono inoltre responsabili della comparsa di fenomeni di sensibilizzazione e di reazioni allergiche, nonché dell’insorgenza di ceppi di microrganismi resistenti.

Secondo alcuni studi l’uso di antibiotici topici potrebbe essere riservato esclusivamente alle lesioni che non guariscono o continuano a produrre essudato dopo un tratta

mento ottimale di 2-4 settimane. In questi casi, l’applicazione non dovrebbe superare le due settimane di terapia, e l’antibiotico da usare localmente va scelto tra quelli attivi su Gram+, Gram- ed anaerobi (es. sulfadiazina).
Nel caso in cui si assista alla comparsa di infiltrazione dei tessuti circostanti la lesione, osteomielite, batteriemia o sepsi generalizzata è indispensabile instaurare un’idonea terapia antibiotica sistemica, sulla base di un antibiogramma specifico.

4 – Medicazione topica della lesione

I requisiti per una medicazione ideale sono:
Mantenere un microambiente umido e la cute circostante asciutta
Consentire lo scambio gassoso
Proteggere dalla contaminazione batterica
Proteggere dai danni meccanici
Garantire le condizioni ottimali di temperatura
Permettere e favorire la rimozione di essudati e tessuti necrotici
Essere biocompatibile
Essere maneggevole
Avere un costo contenuto
Ad eccezione dell’ultimo aspetto, tali requisiti vengono meglio soddisfatti dalle cosiddette “medicazioni avanzate” presenti in commercio.

Si elencano le regole da tener presente nell’attuazione della medicazione :
Utilizzare guanti monouso per limitare la contaminazione batterica
Evitare di lasciare esposta a lungo la lesione all’aria per diminuire la dispersione di calore e l’esposizione ad agenti infettivi
Mantenere la temperatura ottimale di 37° C
Mantenere l’ambiente umido ad eccezione delle ulcere infette
Scegliere la medicazione più idonea sulla base delle caratteristiche della lesione: granuleggiante, necrotica, secernente, secca, contaminata, infetta, ecc.
Non utilizzare la stessa medicazione durante tutta la durata del trattamento della lesione;

La medicazione va modulata in base alla fase evolutiva della ferita seguendone l’evoluzione: definire la frequenza della medicazione

5 – Trattamento della cute circostante

E’ importante ricordare che la detersione va effettuata anche sulla zona circostante la lesione, utilizzando saponi a pH fisiologico o debolmente acidi (circa pH 5) ed acqua, seguiti da un attenta asciugatura a tamponamento. Può essere utile l’applicazione di creme grasse o di un olio dermoprotettivo.

In particolare la cute integra circostante la lesione va protetta dall’azione di eventuali preparati ad azione proteolitica utilizzati per lo sbrigliamento e dall’effetto allergizzante ed irritante di alcuni disinfettanti o antibiotici.

Come protettivo può essere applicata, al cambio della medicazione, la pasta all’ossido di zinco.

6 – Frequenza della medicazione

La frequenza della medicazione varia in funzione dello stadio in cui si trova la lesione, della sua evoluzione e della tipologia dei prodotti usati.
Infatti, mentre alcuni tipi di medicazioni devono essere rimossi prima che siano completamente saturi e quindi difficili e dolorosi da asportare, altri invece non devono essere sostituiti con troppa frequenza, per non distruggere il tessuto di granulazione neo-formato (ad esempio idrocolloidi).

Il range varia in genere da 12 ore a 7 giorni e le lesioni devono essere rivalutate settimanalmente per seguirne l’andamento.
E’ opportuno, all’inizio del trattamento ed ai successivi controlli, misurare la lesione per monitorarne l’evoluzione nel tempo.

I metodi di misurazione possono essere semplici (centimetro, foglio di acetato millimetrato, macchina fotografica, ecc) o molto sofisticati (ultrasuoni, risonanza magnetica, raggi infrarossi, laser doppler, ecc), ma in ogni caso i parametri da valutare sono:
Superficie – Perimetro – Profondità.

Monitoraggio della lesione

Per il monitoraggio delle lesioni deve essere utilizzata una scheda di rilevamento, da compilare da parte del personale infermieristico e anche OSS, nella quale riportare i dati relativi alla stadiazione delle lesioni, alle dimensioni e caratteristiche delle stesse, ad eventuali provvedimenti o interventi realizzati (consulenza dermatologica, toilette chirurgica ecc.), alle medicazioni effettuate e alla loro frequenza nonché le osservazioni ritenute utili per la prosecuzione del trattamento.

Ad ogni scheda è attribuita una numerazione progressiva, riferita al singolo paziente. Nello spazio “da compilare il” è preventivamente indicata la data del controllo, programmato in base alla tipologia delle lesioni o al bisogno.
La cadenza dei controlli per il monitoraggio delle lesioni può essere fissato di routine dalle singole RSA, anche sulla base della propria organizzazione interna (settimanale, quindicinale ecc.), o, a seconda della tipologia delle lesioni, mirato al singolo paziente.

Di seguito un esempio di scheda che potrebbe essere adottata da tutte le RSA, eventualmente integrata con ulteriori dati ritenuti utili allo scopo preposto.

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